La messa alla prova (MAP) a favore di soggetti minori è uno strumento adottato secondo quanto previsto all’art. 28 D.P.R. 448/88, in vigore in Italia quindi da più di trent’anni. Nel primo ventennio del nuovo millennio sono stati oltre 55.000 i provvedimenti di messa alla prova concessi a ragazzi e ragazze secondo quanto previsto dalla legge.
Alla fine del 2021, sul totale dei giovani presi in carico dai servizi dell’USSM (Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni), il 20,2 % si trovava in messa alla prova, mentre alla fine del 2020 tale percentuale era pari al 15,8%. Sul totale delle messe alla prova, il 7,4% nel 2021 e il 6,4% nel 2020 ha riguardato ragazze.
Se guardiamo invece al totale dei ragazzi per i quali è stato disposto il collocamento in una comunità nell’ambito di una misura penale, il 22% nel 2021 e il 20,2% nel 2020 ci è entrato con un provvedimento di messa alla prova. Infine, sono il 2,3% nel 2021 e l’1,8% nel 2020 del totale dei ragazzi usciti dalla carcerazione presso un IPM coloro che hanno varcato i cancelli per poter realizzare il proprio percorso di messa alla prova.
Ma cosa significa realizzare un percorso di messa alla prova? Quando un giudice concede a un ragazzo di iniziare una MAP significa che per questo ragazzo è stato costruito un percorso ad opera del servizio USSM, percorso che si concretizza in varie attività che il giovane è tenuto a realizzare e il cui esito determinerà, direttamente nei contenuti, la relazione finale che il servizio titolare del caso andrà a presentare in sede di udienza. Ciò influirà sull’esito positivo o negativo della MAP. Nel caso di esito positivo, il reato verrà estinto.
L’istituto della messa alla prova ha visto negli anni un forte incremento del suo utilizzo. Tra il 1992 e il 2020 le concessioni di tale misura sono aumentate del 286,2%, passando da 788 a 3.043.
Se adesso guardiamo al numero dei minorenni denunciati per i quali in un certo anno l’Autorità giudiziaria ha disposto l’inizio dell’azione penale (i dati disponibili arrivano solo fino al 2017) e lo paragoniamo con il numero di MAP concesse (per quanto non è detto che la stessa persona sia destinataria del provvedimento nello stesso anno in cui ha visto iniziare l’azione penale che la riguarda), abbiamo un’idea approssimata del tasso di applicazione della messa alla prova. Possiamo così constatare come la sua incidenza sia aumentata anche in termini relativi.
Il progetto di messa alla prova non è però soltanto un’opportunità per il minore di giocarsi una seconda occasione e veder estinguere il reato commesso, ma è e può essere molto di più. Infatti la MAP è a tutti gli effetti un progetto di vita per il minore; grazie alle informazioni sul ragazzo e sulla sua storia l’assistente sociale delinea e costruisce un percorso, ma a ciò deve per forza essere preceduta una fase approfondita di conoscenza che avviene tramite lo strumento del colloquio. È già qui che il minore può iniziare ad assumere un ruolo centrale, in questo spazio di ascolto e dialogo in cui può diventare soggetto attivo e protagonista del percorso che sta iniziando a co-costruire. Le attività che possono essere previste nel percorso di MAP sono varie. Si tratta idealmente di occasioni per il giovane di impegnarsi a scuola, trovare un impiego per il periodo estivo o inserirsi nel mondo del lavoro, svolgere ore di volontariato a favore della collettività.
I minori interessati da questo tipo di percorso svolgono delle attività che sono comunemente intese come atte a ripagare un danno commesso. Dalla nostra esperienza diretta emerge come si riscontrino atteggiamenti diversi tra gli operatori che si occupano di messa alla prova e di come ciò si traduca anche sugli enti che collaborano per la realizzazione dei progetti nel territorio. Talvolta gli operatori concepiscono la messa alla prova come una punizione a tutti gli effetti, per quanto diversa dal carcere, mentre altre volte la intendono nella sua portata di vera opportunità per il ragazzo di vedersi inserito in percorsi e attività che spesso non ha mai avuto la possibilità di incrociare prima, sperimentando dei contesti di vita positivi.
Le risorse necessarie a svolgere le messe alla prova sono sicuramente meglio investite (e meno ingenti) rispetto a quanto costerebbero altrettanti percorsi che prevedano l’incarcerazione, ma sono un miglior investimento anche perché rivolte al contempo ai territori e alla società libera. Il fatto di avere delle messe alla prova sul territorio opera infatti in senso preventivo oltre la riconciliazione sociale e collettiva, trattandosi di una prevenzione con un doppio obiettivo: integrando un ragazzo o una ragazza in un dato luogo grazie a un progetto di MAP si dà uno spazio e una possibilità a lui o a lei e al contempo si chiamano ad agire sul campo i servizi sociali territoriali e tutte le agenzie educative del territorio di riferimento.
Ci si potrebbe quindi spingere ad intendere questi percorsi come un’occasione di riparazione svolta implicitamente pure dalla società. La stessa società in cui il ragazzo è diventato deviante e infine ha commesso un reato si attiva dunque per un percorso di riparazione.
Infatti se l’azione reato è riconducibile a un atto individuale, tutto ciò che porta il soggetto sulla soglia di quell’atto è composto oltre che da scelte anche di condizioni sovra-determinate e indipendenti dal soggetto stesso perché riferite a condizioni sociali e di ricchezza, familiari, di genere, di provenienza etnica o religiosa. Questo vale per chiunque, ma ancora di più nel caso in cui ci riferiamo a minori, che necessitano ancora maggiormente rispetto all’adulto di un intervento globale che avvicini i servizi, le occasioni, le possibilità alle vite e alle scelte individuali.
Scuola, volontariato, sport, lavoro dei quali si presume il minorenne non abbia saputo o potuto giovare prima del fatto reato, ora diventano tramite la MAP occasione e obbligo per rientrare in società. Congiuntamente le agenzie educative sono chiamate, dietro la guida dei servizi sociali, ad offrire anche ai minori più marginali la possibilità di inserimento nelle proprie realtà.
Con la MAP l’esecuzione della pena abbandona quindi il paradigma intimidatorio volto alla dissuasione del singolo dal mettere in atto comportamenti contra legem a favore invece di una responsabilizzazione collettiva che vede l’intera società responsabile di questo percorso.