A fronte dei 17 Istituti Penali per Minorenni presenti sul territorio nazionale, si contano in Italia ben 637 comunità residenziali disponibili all’accoglienza di minori o giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali. Di queste, solo tre – a Bologna, Catanzaro e Reggio Calabria – sono gestite direttamente dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia. Le altre 634, censite in un elenco semestralmente aggiornato, sono strutture private che vengono accreditate dal Ministero a svolgere questo compito.
A tale scopo, i Centri per la giustizia minorile stipulano convenzioni con comunità, associazioni e cooperative che lavorano con i giovani e sono riconosciute a livello regionale (art. 10, D. Lgs 272/1989). Le comunità devono presentare un’organizzazione di tipo familiare, impiegare operatori professionali di varie discipline, collaborare con le istituzioni coinvolte, usare le risorse territoriali. Fino all’ottobre 2018 esse dovevano prevedere anche la presenza di ragazzi non sottoposti a procedimento penale provenienti dall’area della giustizia civile, in nome di un’integrazione tra i settori capace di evitare isolamenti potenzialmente malsani. Il D. Lgs. 121/2018, tuttavia, ha fatto cadere questo requisito, permettendo che le comunità accreditate ospitino anche solo minorenni sottoposti a procedimento penale o in esecuzione di pena, al fine esplicito di “favorire il percorso educativo del condannato”.
Le comunità svolgono un ruolo di rilievo nel sistema della giustizia minorile, un ruolo che si impone anche per quanto riguarda la parte della giustizia penale, permettendo misure cautelari meno afflittive del carcere qualora se ne ravvisi la necessità, o la possibilità di accedere a misure penali che presuppongono un domicilio anche in mancanza di adeguati sostegni familiari.
La dislocazione delle comunità private è disomogenea. Ne conta ben 118 la Lombardia, mentre in Calabria ne troviamo solo 11. Ce ne sono 74 in Sicilia e 25 in Sardegna, 50 in Emilia Romagna e 30 nel Lazio.
Al 15 gennaio 2022, erano 923 i ragazzi sottoposti a misure penali ospitati da comunità (di cui 17 nelle tre comunità ministeriali). Di questi, 196 si trovavano in Lombardia, 125 in Campania, 120 in Sicilia. Nessuno in Molise, 3 in Trentino Alto Adige, 4 in Basilicata, 6 in Friuli Venezia Giulia.
Nel corso del 2021 sono stati 1.544 i collocamenti in comunità nell’ambito penale (dai quali possiamo tuttavia sottrarre i circa 170 rientri dall’Ipm a seguito del cosiddetto “aggravamento”, per cui il ragazzo che ha violato alcune regole viene mandato in carcere per un massimo di un mese). La stragrande maggioranza, ben 749 (i dati di flusso scorporati sono fino al 15 dicembre), sono stati dovuti a misure cautelari, mentre 325 sono stati nell’ambito di un provvedimento di messa alla prova. In generale, sono queste le prime due voci dal punto di vista numerico - pur dal peso ben diverso tra loro - che spiegano il collocamento in comunità (come mostra il grafico sotto, allargando lo sguardo agli ultimi cinque anni). In 121 casi si trattava di un ingresso dall’Ipm a seguito di un alleggerimento della misura penale, mentre solo in 66 casi si aveva a che fare con l’applicazione di misure penali di comunità, ovvero misure alternative alla detenzione.
Quest’ultimo dato è in leggera crescita percentuale negli ultimi anni, dovuta probabilmente all’entrata a regime delle nuove norme sull’ordinamento penitenziario minorile contenute nel D. Lgs. 121/2018, ma rimane comunque residuale.
Il 50,6% dei delitti che hanno comportato il collocamento in comunità nel corso del 2021 erano delitti contro il patrimonio (innanzitutto la rapina, nella metà dei casi, e a seguire il furto). Il 21,7% erano invece delitti contro la persona (lesioni personali volontarie in oltre la metà dei casi), il 12,5% riguardavano la violazione della
normativa sugli stupefacenti, il 4,9% i maltrattamenti in famiglia e stessa percentuale per la violenza o la resistenza a pubblico ufficiale.
I collocamenti in comunità nel 2021 hanno riguardato giovani adulti nel 22,2% del totale. Se guardiamo agli ingressi nelle carceri minorili avvenuti nello stesso arco di tempo, vediamo che nel 32,1% dei casi si è trattato di ragazzi maggiorenni. La minore incidenza dei minorenni negli ingressi in carcere rispetto alle comunità mostra come il sistema sia volto a cercare per i giovanissimi l’applicazione di misure meno contenitive.
Se facciamo lo stesso ragionamento guardando adesso alla componente dei ragazzi stranieri, scopriamo che essa rappresenta il 34,5% degli ingressi in comunità e il 44,5% degli ingressi in carcere. Per loro vale il commento opposto: il sistema fatica maggiormente a trovare percorsi alternativi alla detenzione. Sorprende invece il dato sulle ragazze, il 7% degli ingressi in comunità e il 7,9% degli ingressi in carcere, quando invece siamo abituati a una minore pressione penale sulle donne, comunemente caratterizzate da posizioni giuridiche più leggere.
Se guardiamo agli ultimi 15 anni, i collocamenti in comunità hanno avuto un andamento ondivago, diminuendo drasticamente con l’arrivo della pandemia.
È interessante guardare alla percentuale di collocamenti in comunità che hanno riguardato ragazzi stranieri, paragonandola con quella degli ingressi in carcere. Tendenzialmente, fino a prima della pandemia, le due percentuali crescono o diminuiscono insieme. Il peso percentuale dei ragazzi stranieri negli ingressi in Ipm è comunque sempre rilevantemente superiore a quello relativo alle comunità. I ragazzi italiani, maggiormente tutelati dalle proprie reti sociali, hanno meno possibilità di andare in carcere. Il sistema fatica maggiormente a trovare percorsi alternativi - perfino in comunità, dove non si richiede un autonomo domicilio - per i ragazzi con minori reti di tipo (essenzialmente) familiare.
Se guardiamo poi all’anno 2020, che ha segnato l’inizio dell’emergenza sanitaria da Covid-19, vediamo come, a fronte di una percentuale sostanzialmente stabile di collocamenti in comunità di ragazzi stranieri, abbiamo un balzo nella loro incidenza sugli ingressi in carcere. Segno evidente di come le misure volte ad alleggerire gli istituti di pena, che hanno portato anche nel sistema minorile a una diminuzione delle presenze in carcere, abbiano funzionato di meno per la componente straniera.
Se guardiamo adesso ai dati relativi alle presenze medie giornaliere, vediamo che anche qui la percentuale di incidenza dei ragazzi stranieri è sempre superiore nelle carceri rispetto alle comunità.
È interessante notare come tendenzialmente la percentuale relativa a ragazzi stranieri sul totale sia degli ingressi in Ipm che dei collocamenti in comunità sia superiore alla percentuale di ragazzi stranieri nella presenza media giornaliera in entrambe le tipologie di strutture. I ragazzi stranieri percentualmente entrano in questi servizi residenziali della giustizia minorile penale più di quanto vi permangano. Ciò fa pensare a un maggior livello di persecuzione dei ragazzi stranieri da parte del sistema penale anche a fronte di un basso spessore criminale, che porta a imporre misure penali, in sede cautelare o di esecuzione pena, pur di breve durata o a fronte di una scarsa pericolosità sociale.