Le presenze negli IPM
La mappa che segue rappresenta la distribuzione e le presenze negli Istituti Penali per i Minorenni al 15 gennaio 2022. I 316 minori e giovani adulti detenuti in quella data erano distribuiti in 17 istituti, da Caltanissetta a Treviso, in strutture con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro. Quello con più presenze era l’IPM di Torino, che ospitava 38 detenuti, mentre alla stessa data a Pontremoli, unico IPM esclusivamente femmiile in Italia, c’erano solo 3 ragazze. In tutta Italia quel giorno le ragazze detenute erano 8, per la metà straniere. Complessivamente gli stranieri erano 140.
Si tratta di numeri significativamente più bassi rispetto a quelli che si registravano in passato. In “Guarire i ciliegi. Quinto rapporto di Antigone sugli Istituti penali per minorenni”, raccontavamo come al 15 gennaio 2020, subito prima dell’arrivo in Italia della pandemia da Covid-19, i ragazzi in IPM erano 375, il 19% in più delle presenze attuali. Questo calo delle presenze è verosimilmente dovuto anche alla pandemia, ma certamente asseconda una tendenza che si registra ormai da tempo.
Come si vede le presenze hanno raggiunto in questa fase il dato più basso mai registrato dal 2007 (erano 280 nel maggio 2020, subito dopo lo scoppio della pandemia) e sembrano essersi stabilizzate poco sopra le 300 unità. Fino ad ora i numeri più contenuti si erano registrati nel 2014, soprattutto per il calo delle presenze di detenuti stranieri. Proprio nel 2014 però a questo calo delle presenze si è risposto con la legge 117 dell’11.08.2014, che ha portato da 21 a 25 anni di età il limite massimo per la permanenza nel circuito penale minorile per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni. Come era ovvio i numeri in IPM sono subito cresciuti, ma questa tendenza si è fermata già nel corso del 2016 e dal 2018 il calo è stato significativo, soprattutto tenendo a mente questo allargamento della platea di persone detenute in IPM. Se questo cambiamento non ci fosse stato, ed oggi come prima della riforma nei minorili ci fossero solo ragazzi tra i 14 ed i 21 anni di età, allora oggi i presenti sarebbero in tutto 259, 100 in meno del dato più basso mai registrato prima della pandemia.
La distribuzione nel paese di queste presenze resta però significativamente disomogenea. Il sud e le isole ospitano ben più della metà degli istituti, 10 su 17, e oltre la metà delle presenze, il 55,9% al 15 gennaio 2022. Un dato rilevante soprattutto se confrontato con il totale dei giovani in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni alla stessa data. Erano 13.800 e di questi solo il 47,6% era in carico ad uffici del sud o delle isole, mentre ben più della metà era in carico agli uffici del centro e del nord, aree in cui evidentemente le opportunità per percorsi alternativi al carcere sono più diffusi. Si badi bene, in entrambi questi contesti il ricorso all’IPM è decisamente residuale, a metà gennaio 2022 in 316 casi su 13.800 persone in carico, ma resta il fatto che al sud e nelle isole si va in IPM un po’ più spesso.
Caratteristiche della popolazione detenuta
Come si vede nel grafico sotto, dei presenti al 15 gennaio 2022 la maggior parte, il 52,5%, era in IPM senza una condanna definitiva. Se paragoniamo questo dato a quanto si registra nelle carceri per adulti, dove le persone senza una condanna definitiva sono attorno al 30%, già molte rispetto alla media europea, il dato degli IPM dovrebbe allarmare. In effetti però questo dato va letto in modo parzialmente diverso. L’IPM, come peraltro sarebbe auspicabile anche per il carcere degli adulti, è una tappa generalmente breve di un percorso più lungo, che si svolge soprattutto altrove, nelle comunità e sul territorio. Per questo motivo, anche quando si finisce in IPM, non è affatto detto che poi li si conti la pena, o il resto della misura cautelare, e questa è una delle ragioni che spiegano come mai i ragazzi si trovino in IPM più spesso all’inizio del proprio percorso, nella fase della custodia cautelare, anziché più avanti, nella fase dell’esecuzione. Non è però la ragione unica, e di questo torneremo a parlare in seguito.
Per ora invece vale la pena segnalare due cose. La prima è che, se si disaggregano le presenze, si vede ad esempio come la percentuale di persone senza una condanna definitiva sia molto minore tra le ragazze, il 37,5% (3 ragazze su 8) e soprattutto tra i giovani adulti, il 28,1%. Per questi due gruppi è più comune trovarsi in IPM per scontare una condanna definitiva. Al contrario, tra i 131 minori detenuti in IPM a metà gennaio, era in custodia cautelare addirittura l’87% dei presenti.
L’altra cosa da notare è che il notevole calo di presenze registrato da prima dell’arrivo della pandemia non ha inciso significativamente sulla composizione della popolazione detenuta in IPM da questo punto di vista. Al 15 gennaio 2020 tra i ragazzi in IPM non aveva una condanna definitiva il 51,3% dei presenti, un dato come si vede molto simile a quello registrato a due anni di distanza.
Altra caratteristica certamente significativa, e per certi aspetti sorprendente, è quella dell’età della popolazione detenuta in IPM. Ormai la maggior parte dei ragazzi ristretti negli Istituti penali per minorenni non è in effetti minorenne. I maggiorenni erano al 15 gennaio il 58,5%, un po’ meno tra i soli stranieri, il 56,4%, e decisamente di più tra le sole ragazze, il 62,5%.
Anche in questo caso, come prima per la posizione giuridica, non cambia molto rispetto a prima della pandemia. I maggiorenni erano al 15 gennaio 2020 il 57,6%, più o meno come oggi nonostante il notevole calo delle presenze.
Altro dato significativo è quello dei reati per cui sono detenuti i ragazzi in IPM. In questo caso prendiamo in considerazione gli ingressi nel corso del 2021, alla data del 15 dicembre, per osservare come la netta prevalenza dei delitti a carico di chi entra riguardi, per il 54%, i delitti contro il patrimonio. Questa percentuale sale al 60% per gli stranieri e addirittura al 73% per le ragazze.
I reati contro il patrimonio sono seguiti da quelli contro la persona, che sono in media all’origine del 20% degli ingressi, percentuale che in questo caso scende al 18% per gli stranieri e addirittura all’8% per le donne. I reati violenti dunque sono marginali in IPM, il che in qualche misura sorprende. Vista la residualità del ricorso al carcere per i ragazzi in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni, ci si aspetterebbe di trovare in IPM solo ragazzi detenuti per fatti molto gravi, ma evidentemente non è così, quantomeno se si guarda appunto agli ingressi. Si finisce in IPM dunque non tanto per la gravità del reato commesso, quanto più realisticamente per la difficoltà di trovare un percorso non detentivo che faccia al caso del ragazzo o della ragazza, al quale aderisca e che dunque non comporti un passaggio in IPM, o quanto meno che renda questo passaggio il più breve possibile.
Rilevante anche il fatto che il dato riportato appare invece questa volta significativamente diverso rispetto a quello registrato prima della pandemia. I reati a carico delle persone entrate in IPM al 15 dicembre del 2019 erano per il 62% reati contro il patrimonio, contro il 54% del 2021, mentre erano il 17% quelli contro la persona, contro il 20% del 2021. In questo caso il dato appare più intuitivo, e in controtendenza rispetto a quanto dicevamo sopra. Il minor ricorso all’IPM nel corso dell’ultimo anno ha inciso soprattutto sui reati meno gravi, mentre per quelli più gravi, che restano comunque largamente minoritari, il ricorso all’IPM è calato in proporzione meno rispetto al calo complessivo delle presenze.
Questo consente probabilmente di tentare una prima risposta ad una domanda obbligata: cosa è cambiato nei numeri degli IPM da prima della pandemia ad oggi? Come abbiamo visto le presenze sono notevolmente calate ma la composizione della popolazione detenuta è rimasta per molti aspetti simile, per età e per posizione giuridica. Simile peraltro è rimasto anche il numero complessivo delle persone in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni. Erano 13.800 al 15 gennaio 2022, erano addirittura meno, circa 12.800, al 15 gennaio 2020, subito prima dell’arrivo della pandemia. Il numero dei minori in carico ai servizi è dunque addirittura leggermente cresciuto, segno probabilmente che il calo delle presenze in IPM non è dipeso da un calo dei reati legato alla pandemia e alle chiusure. Al contrario i minori in carico ai servizi sono addirittura aumentati, ma è diminuito il ricorso all’IPM, soprattutto, come abbiamo visto, per i fatti meno gravi.
Il calo sarà in parte certamente dovuto alla pandemia, ma non appunto a causa di un calo dei reati, né a causa delle misure straordinarie previste dal Governo per contrastare il sovraffollamento delle carceri, misure che nei minorili, come le altre misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario, si usano poco. Appare dunque verosimile che il sistema della giustizia minorile abbia semplicemente accelerato, a causa del pandemia, quel percorso avviato comunque da tempo, di residualizzazione del ricorso al carcere. Nulla di nuovo dunque ma semplicemente, a fronte di una situazione straordinaria, una maggiore determinazione nel proseguire lungo un solco virtuoso già tracciato.
Come si entra e come si esce dagli IPM
Uno sguardo infine al modo in cui nel corso del 2021 le persone sono entrate in IPM. Anzitutto, com'è prevedibile, la gran parte delle persone che entrano in IPM ci entrano in custodia cautelare, il 75,8%, e solo il 24,2% entra in esecuzione di una pena definitiva. Interessante però la disaggregazione del dato, visibile sotto.
Anzitutto il 44,7% delle persone entra in IPM dalla libertà, il 20,5% in custodia cautelare ed il 24,2% in esecuzione di pena, e solo il 20,4% delle persone arrivano dai Centri di prima accoglienza, le strutture che accolgono temporaneamente i minorenni fermati, accompagnati o arrestati in flagranza di reato dalle forze dell’ordine fino all’udienza di convalida, per un tempo massimo di novantasei ore.
Molto rilevante anche il fatto che ben il 34,6% delle persone che entra in IPM viene da una comunità, la maggioranza di costoro, il 30,8% degli ingressi, per aggravamento temporaneo della misura cautelare del collocamento in comunità.
Speculare il quadro delle uscite. Nel corso del 2021 la maggior parte dei ragazzi che uscivano dagli IPM non andava in libertà, o in una qualche misura alternativa presso il proprio domicilio. Il 52,4% dei presenti usciva dall’IPM per andare in comunità, o perché gli era stata concessa una misura cautelare o esecutiva che prevede il soggiorno in comunità, o perché aveva finito di “scontare” l’aggravamento di cui parlavamo sopra.
Già nella precedente edizione di questo rapporto sottolineavamo la centralità di questo dato. Dimostra come le comunità per minori siano un tassello essenziale del sistema della giustizia penale minorile, ospitando molti più ragazzi provenienti dal circuito penale di quanti ce ne siano in IPM, facendo sperimentare loro livelli di autonomia assai superiori a quelli che sono possibili in una struttura detentiva e garantendo loro un contatto più intenso con il territorio. Questo non significa però che il quadro non presenti anche nodi problematici.
In particolare andrebbe considerato con maggiore attenzione il ricorso massiccio alla misura dell’“aggravamento” che, come dicevamo, nel 2021 è stata la ragione di 251 ingressi in IPM, il 30,8% del totale. Si tratta di una misura sostanzialmente sanzionatoria che può avere una durata massima di 30 giorni, e che spesso nella prassi coincide con il suo massimo.
Questa misura genera inevitabilmente alcune incongruenze. La prima riguarda la permanenza media delle persone in IPM, generalmente piuttosto bassa, di pochi mesi. Ma questo dato medio è chiaramente schiacciato verso il basso dal fenomeno degli aggravamenti. Come detto per chi ne è interessato l’IPM ha esclusivamente una funzione disciplinare, è la misura prevista “nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato dalla comunità”, come recita l’art. 22 comma 4 del D.P.R. 448/1988, il Codice del processo penale minorile. Questo di fatto comporta che in ogni IPM solitamente ci sia un gruppo di ragazzi (composto peraltro non solo da quelli in aggravamento) estranei ai percorsi in atto nell’IPM stesso e poco incentivati ad inserirsi, in quanto destinati ad uscirne in pochi giorni, a fronte di un altro gruppo destinato ad una permanenza decisamente più lunga. Una condizione certamente non ideale per la gestione dei percorsi educativi e di reinserimento e che riversa sull’IPM un’utenza che è più difficile coinvolgere in questi percorsi, e dunque più facilmente destinataria di misure essenzialmente contentive.
D’altro canto la misura dell’aggravamento mette in discussione la natura stessa di extrema ratio del ricorso alla detenzione in IPM, consentendo addirittura il trasferimento in IPM in misura cautelare di persone che hanno commesso reati per i quali la lettera stessa dell’art. 23 del codice di rito escluderebbe la possibilità della custodia cautelare in IPM.