La dott.Ssa Ceccarelli è una funzionaria di servizio sociale che lavora presso l’USSM di Roma da quasi ventiquattro anni. Con la sua lunga esperienza e la sua competenza nell’ambito della giustizia minorile, la dott.ssa ci ha offerto uno sguardo professionale da un lato sull’organizzazione ed il funzionamento dell’USSM – com’è evoluto il servizio negli ultimi vent’anni, quali sono i punti di forza e le difficoltà che gli assistenti sociali si trovano ad affrontare – dall’altro su come sono cambiati i ragazzi che, entrando nel circuito penale, vengono presi in carico dall’USSM. L’intervista alla dott.ssa ci permette di approfondire la conoscenza del ruolo dell’assistente sociale, figura essenziale all’interno del procedimento penale minorile e la portata dell’impatto delle principali modifiche normative che sono intervenute nel sistema.
Com’è organizzato l’USSM e com’è strutturato il personale che lo integra?
L’USSM è stato istituito dal D.P.R. 448/88 con cui è entrato in vigore il Codice del Processo Penale Minorile, in quanto servizio specializzato all’interno del sistema di giustizia penale minorile. Io sono stata assunta nel 2000 e sono entrata con la parte più consistente del personale dell’USSM. Una volta assunti, abbiamo ricevuto una formazione della durata di sei mesi; ognuno di noi veniva da esperienze diverse, con età diverse, io ad esempio fino a quel momento mi ero occupata principalmente di anziani, quindi la formazione fu estremamente necessaria dato che avremmo cominciato a lavorare in un settore specifico, ovvero quello che coinvolge i soggetti minorenni autori di reato o comunque imputabili. Chiaramente negli anni abbiamo sempre preteso che la formazione fosse permanente, anche perché lo impone l’ordine degli assistenti sociali. Ciononostante, molti di noi hanno fatto anche molta autoformazione.
Prima che nel 2008 avvenisse la riforma della sanità penitenziaria, facevano parte dell’USSM anche alcuni psicologi; prima della riforma, quindi, i casi venivano presi in carico congiuntamente (da assistenti sociali e psicologi). Con la riforma della sanità penitenziaria, invece, gli psicologi sono diventati dipendenti delle ASL e non più del Ministero; ciò ha implicato che la loro presenza presso l’USSM sia andata via via riducendosi, in quanto hanno cominciato a lavorare a mezzo servizio. Di ciò l’USSM ha sofferto molto, perché ci ha obbligato a rivolgerci sempre ai servizi territoriali, sebbene non tutti funzionino bene.
La competenza dell’USSM si estende a tutta la regione Lazio e il servizio è organizzato in tre sedi: la sede centrale di Roma e due sedi dislocate rispettivamente a Latina e Frosinone, dove operano suppergiù due colleghe in un territorio comunque molto vasto. A Roma dovremmo essere 35, ma gli assistenti sociali che effettivamente lavorano sui casi ora sono 29. Il servizio soffre anche della mancanza di personale amministrativo; una collega ha dovuto lavorare presso la segreteria amministrativa per coprire i buchi. Inoltre, a volte, il personale amministrativo è personale con fragilità che fatica a sostenere tutte le incombenze burocratiche del più grande USSM d’Italia. È necessario un personale attrezzato.
Ovviamente c’è una Direzione che nel caso romano è ricoperta da un funzionario di servizio sociale; negli adulti i Direttori a volte sono ex direttori di carcere, o altro. Invece nell’ambito minorile questa specifica è molto importante. Poi vi è uno staff che supporta la direzione composto da “Coordinatori” che seguono le diverse “zone” in cui si è andato articolando il servizio.
Com’è cambiato il ruolo dell’assistente sociale all’interno del sistema di giustizia minorile nel corso degli anni?
I compiti dell’assistente sociale sono stati molto ben definiti dal D.P.R. 448/88 (Codice di procedura penale minorile), ma sono stati poi modificati da provvedimenti successivi. Il D.P.R. 448/88 è sempre stato considerato, a livello europeo, un “fiore all’occhiello” del sistema italiano, proprio perché si tratta di una normativa moderna che realmente ha messo al centro il soggetto minore.
La fascia d’età dell’utenza dell’USSM e quindi dei soggetti che possono essere coinvolti nel procedimento penale minorile, è cambiata nel tempo. Prima del D.P.R. 448/88 andava dai 14 ai 18 anni; dopo il 448/88 dai 14 ai 21 anni, fino ad arrivare alla situazione attuale1 che comprende i ragazzi tra i 14 e i 25 anni. Per i giovani adulti che hanno commesso reato da minorenni si è paventata la possibilità di rimanere nell’IPM in una sezione a parte; ciò è servito sia per ridurre il costo economico gli IPM, sia per evitare l’ingresso negli istituti per gli adulti e l’assorbimento di ulteriori subculture criminali das parte dei giovani adulti.
Il D. lgs. 121/18 (Disciplina dell’esecuzione penale nei confronti dei condannati minorenni) ha rappresentato una grande rivoluzione che abbiamo atteso con molta ansia. Nonostante avessimo il Codice di procedura penale minorile, dovevamo comunque poi fare riferimento all’ordinamento penitenziario per gli adulti, un ordinamento che non calzava affatto con i bisogni specifici dei minori. L’altra novità introdotta con l’ordinamento penitenziario minorile è stata mettere al centro il lavoro di rete; in concreto, tutti i ragazzi che entrano in IPM hanno diritto ad una progettualità strutturata per far sì che escano dal carcere il prima possibile. Ciò ha imposto il fatto che l’assistente sociale facesse parte di quell’ équipe di cui fa parte la direzione dell’IPM, l’agente di polizia penitenziaria, l’educatore e l’assistente sociale. Ma la grande novità è che vengono chiamati ad entrare in carcere i servizi sociali territoriali. Si tratta di una vera e propria svolta; viene così finalmente creato un ponte tra il dentro e il fuori. Il nostro lavoro è diventato certamente più impegnativo, ma al contempo si è riusciti a creare quella rete, che è sempre stata la nostra aspirazione principale, oltre ad offrire servizi radicati nel territorio.
Recentemente abbiamo partecipato ai tavoli di lavoro previsti all’assessore per i servizi sociali del comune di Roma, la dott.ssa Funari, la quale ha disposto l’assunzione di diversi assistenti sociali nei vari municipi. Inoltre, con il PNRR i comuni hanno acquisito finanziamenti importanti. Tutto ciò ci permette di attivare progetti che prima non si potevano attivare. Siamo invece penalizzati perché i ministeri non possono usufruire allo stesso modo dei fondi per il PNRR, nemmeno per l’assunzione del personale.
Come si è andata modificando nel corso degli anni l’utenza dell’USSM? Com’è cambiato il profilo dei ragazzi presi in carico dall’USSM?
Quando io sono arrivata nel 2000 l’utenza maggiore erano giovanissimi rom che commettevano furti. Nel tempo, l’utenza è notevolmente cambiata; innanzitutto si è spostata l’età, ovvero non abbiamo più giovanissimi che delinquono. Attualmente la fascia d’età più critica riguarda i ragazzi dai 16, 17 anni in su. Negli anni, inoltre, è aumentato esponenzialmente il numero di ragazzi che sono entrati nel circuito penale per aver commesso il reato di spaccio di sostanze stupefacenti. Ciò ci ha obbligato a sensibilizzare i SerD perchè inizialmente tale servizio non era attrezzato per un’utenza così giovane. L’USSM ha combattuto molto per questo; si sono create delle équipe dedicate all’interno del SerD, per cui il rapporto tra noi e il SerD è completamente mutato. Con alcuni SerD facciamo ormai anche degli incontri mensili nel nostro ufficio, che servono da una parte come occasione di aggiornamento per gli operatori dell’USSM e, dall’altra, per parlare concretamente di casi seguiti insieme. Si tratta di un lavoro talmente importante al punto da proporre alla magistratura di organizzare un seminario che li coinvolga sul tema del consumo di sostanze e del reato di spaccio da parte dei giovani.
L’altro problema che abbiamo riscontrato negli ultimi anni è stato il COVID. Abbiamo trovato dei ragazzi altamente disturbati dall’essere stati isolati, in quanto i ragazzi hanno bisogno di relazioni sociali, di contatti e di fisicità. Tuttavia, una volta che sono venute meno le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, vi è stato uno scoppio di questa fisicità, uno scoppio iroso e aggressivo, che si è manifestato nel modo peggiore. Nelle piazze romane abbiamo assistito a questo sfogo assoluto che ha compreso anche l’abuso di alcol e di farmaci, quasi che ci fosse una necessità di sfogare una specie di aggressività latente da parte dei ragazzi. Per altri, invece, la chiusura ha portato ad un’introversione tale che non riescono più ad uscire di casa. Non tutti gli adolescenti sono così, sia ben chiaro.
L’altro problema riguarda i ragazzi con discalculia, con insegnante di sostegno ecc. che a volte però non hanno ricevuto il supporto adeguato, per cui nella fase dell’adolescenza presentano problemi di adattamento, di mancanza di concentrazione, di apprensione continua. Ci ha colpito come oggi sempre più ragazzi soffrono di attacchi di panico. La chiusura a casa per il covid ha fatto scaturire anche disturbi alimentari, a cui si associano anche problematiche ulteriori.
Abbiamo assistito anche all’aumento dei reati da parte delle ragazze, anche se non in maniera esponenziale. Anni fa le uniche ragazze che prendavamo in carico erano rom. Adesso, invece, abbiamo tantissima utenza italiana; infatti, è venuto a mancare quel rapporto tra reato e situazione di disagio e povertà. I reati di spaccio attraversano trasversalmente ragazzi e ragazze che appartengono a ceti sociali radicalmente differenti. Alcuni non fanno uso di sostanze, ma spacciano per soddisfare il mito dei soldi e del guadagno facile. Si tratta di un problema enorme che ci troviamo ad affrontare. Alcuni ragazzi ci dicono esplicitamente che guadagnano di più spacciando che con la borsa lavoro. Si tratta di un approccio culturale e sociale radicalmente diverso. Chiaramente l’utilizzo precoce di sostanze (anche ad 11 anni) ha portato in alcuni dei disturbi che non possono essere definiti psichiatrici, ma sono comunque dei disturbi comportamentali. Si pensi anche al fenomeno del bullismo. Siamo davanti ad un cambiamento epocale, che proviene dall’esterno; è un cambiamento che riguarda la società tutta e si riflette anche sui giovani.
Cosa si può fare davanti ad una situazione così complessa?
E’ necessaria sempre più coordinazione con i servizi del territorio. Per i giovani che presentano disturbi del comportamento ci sono i cosiddetti TSMREE (Tutela Salute Mentale e Riabilitazione Età Evolutiva). A volte ci sono ragazzi che hanno bisogno di sostegno farmacologico. Risulta imprescindibile reperire comunità terapeutiche adeguate, sebbene attualmente ci troviamo in sofferenza sia con le comunità terapeutiche per ragazzi che fanno uso di sostanze sia con quelle che accolgono ragazzi che presentano disturbi psichiatrici. Della mancanza di tali comunità ne abbiamo fatto anche argomento di colloquio con il CGM, con cui abbiamo aperto dei tavoli specifici tra USSM, CGM e IPM. Si tratta di un tema che ci fa molto soffrire; a volte siamo stati costretti a mandare i ragazzi fuori Roma, perchè su Roma c’è stato riportato che molte comunità hanno chiuso per mancanza di personale. Ci sono stipendi poco adeguati, operatori che hanno cambiato lavoro. Si tratta di un tema all’ordine del giorno che deve essere sviluppato.
In ogni caso, davanti alla complessità della situazione la priorità è quella di gestire i casi in équipe e sostenere il lavoro in rete. Questa è la nostra mission, che cerchiamo di trasmettere anche alla magistratura.
Come si interfaccia l’USSM con le specificità dei bisogni dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) e, più in generale, con i minori stranieri coinvolti in procedimenti penali?
I MSNA che entrano nel penale non sono tantissimi; inoltre, fortunatamente, il sistema di accoglienza italiano funziona abbastanza bene. Un momento di crisi è avvenuto quando l’ufficio tutele del comune di Roma ha ricevuto una richiesta massiva ed è andato in affanno. L’USSM ha avuto difficoltà proprio per la mancanza dei tutori, i quali rappresentano una figura essenziale per i MSNA. Tuttavia, anche in relazione alla figura del tutore, recentemente è stato creato un tavolo promosso dall’assessore del comune di Roma per i servizi sociali, per cui adesso un rappresentante dell’USSM sta lavorando con il Dipartimento dei servizi sociali e altre associazioni che si occupano di minori stranieri per elaborare delle buone prassi. Questo ci fa piacere perché finalmente possiamo affermare che, in una certa misura, il penale è entrato anche nel civile.
Noi come USSM ci stiamo specializzando nei minori stranieri in generale, i quali a volte hanno addirittura meno garanzie dei MSNA. Basti pensare ai processi di ricongiungimento familiare che avvengono in età adolescente; ciò crea tanti problemi e spesso ha portato i ragazzi a non riconoscere l’autorevolezza dei genitori. Chi viene dall’Africa e dal Maghreb comunque proviene da situazioni problematiche anche se non è arrivato con il barcone. Questi ragazzi sono partiti con la speranza di trovare nell’Europa il paradiso, ma invece hanno trovato un’ Europa in crisi, pensiamo, per esempio, alla guerra in Ucraina. Proprio per cercare di soddisfare al meglio i bisogni dei minori stranieri ho elaborato una scheda in cui ogni funzionario di servizio sociale che prende in carico un minore straniero deve immediatamente riportare in maniera sistematizzata alcuni dati fondamentali, prevalentemente riguardanti la situazione amministrativa del ragazzo. In passato ci è capitato ad esempio di attivare una lavoro per un ragazzo per poi scoprire che quest’ultimo non aveva il permesso di soggiorno rinnovato, oppure la residenza o la carta d’identità. Se non si comincia ad affrontare il problema amministrativo sin dall’inizio, poi diventa veramente complicato. Tutto ciò lo stiamo facendo con il supporto del progetto Re-integrando, grazie al quale è stato anche creato uno sportello ad hoc, specifico per l’utenza straniera. La scheda da me elaborata ha cominciato ad essere utilizzata anche in IPM, poiché anche in carcere sussistevano le stesse problematiche. A volte è anche accaduto che tutte quelle possibilità per ottenere il permesso di soggiorno che potevano essere attivate all’interno del processo penale minorile non venivano attivate in tempo e quindi poi la possibilità svaniva.
Inoltre, abbiamo provveduto a realizzare un censimento di tutti i minori stranieri in carico a questo USSM; ogni funzionario di servizio sociale sta analizzando i propri casi, per capire se abbiamo chiara la documentazione in possesso di ciascun ragazzo e qual è l’approccio da adottare in ciascun singolo caso.
Come viene gestito il sovraccarico di lavoro degli assistenti sociali che lavorano con i minori coinvolti nel circuito penale?
Prendendo spunto dal servizio sociale degli adulti abbiamo chiesto di poter assumere assistenti sociali ex art. 80 O.P., attraverso contratti a tempo determinato. Queste figure negli ultimi anni ci hanno molto sostenuto. Abbiamo fatto anche una battaglia a livello sindacale per prorogare queste collaborazioni, ma purtroppo non abbiamo ottenuto molto.
Nell’ultimo periodo, inoltre, si sono svolte riunioni periodiche tra i direttori di tutti gli USSM d’Italia – anche per parlare del Decreto Caivano – per definire il carico massimo di lavoro (in termini di numero di casi) di ogni singolo funzionario di servizio sociale. Finalmente si è convenuto che il massimo è 30 casi a testa, che comunque sono tantissimi. Gli adulti ne hanno 200, ma mi sentirei di dire che non è la stessa cosa. Qui all’USSM di Roma ci sono stati periodi in cui abbiamo avuto anche 48-50 casi per funzionario di servizio sociale.
Non da ultimo, stiamo aspettando con ansia che finalmente si celebrino le prove orali del concorso indetto dal Ministero della Giustizia su base nazionale, anche se ci è già stato detto che l’USSM non otterrà un granchè. Tra l’altro bisogna tener conto che a breve tanti dei funzionari assunti con il maxi concorso del 2000 come me andranno presto in pensione.
Come valuta la situazione attuale negli IPM? Quali potrebbero essere le ragioni sottese al clima che viene spesso descritto come “esplosivo” presso certi istituti?
Alcuni istituti del Nord recentemente sono stati interessati da interventi di ristrutturazione, per cui per un po’ di tempo sono stati chiusi. Una delle conseguenze è stata che qui a Roma abbiamo avuto per un certo periodo più ragazzi del Nord che di Roma o del Sud. Trasferimenti di questo tipo comunque comportano un’alterazione nei ragazzi, ad esempio perché si trovano improvvisamente ad essere lontani dalla famiglia (e non stiamo parlando di ragazzi coinvolti in reati mafiosi, per cui il trasferimento spesso assume un valore di protezione). Stiamo parlando di situazioni per cui “non so dove metterti e ti mando a Roma”, oppure “ti sei comportato male, ti mando a Roma”. Ma grazie a Dio il diritto ancora esiste, quindi questi ragazzi attraverso i loro difensori hanno comunque poi potuto chiedere di tornare a casa. Questo può essere un fattore. L’altro tasto dolente riguarda la presenza di tanti giovani adulti presenti in IPM; questo ha comportato più lavoro per gli educatori o gli agenti penitenziari che devono approcciarsi in modo diverso al minorenne e al giovane adulto. Inoltre la mancanza di personale dell’area trattamentale ma anche di polizia penitenziaria, ha comportato che le attività trattamentali sono diminuite, risultano scarse e insufficienti a soddisfare le esigenze dei ragazzi. Quando un giovane viene chiuso e non gli viene proposto nulla da fare diventa un problema. Poi c’è anche una forte presenza di egiziani (per un certo abbiamo assistito ad un incremento repentino di questa tipologia di utenza) con un piglio e una pretesa di fronte alle istituzioni fuori dal comune, che impediva loro di comprendere e rispettare le regole, sia in comunità che in IPM. In tale situazione, avere avuto dei mediatori avrebbe fatto una grande differenza
L’ultimo fattore che mi sento di segnalare è più generale, e mi sto riferendo alla sofferenza di tutto il sistema carcerario italiano, che è indicibile. A volte i ragazzi più grandi mutuano dagli adulti gli atteggiamenti di protesta, appicco il fuoco al materasso, realizzano le battiture. Davanti a tutto ciò si potrebbe dire che i ragazzi sono più cattivi di un tempo, ma secondo me non è affatto così.
Ha voglia di condividere un breve commento sul Decreto Caivano?
E’ molto difficile parlarne oggi, anche se mi è stato assegnato l’art. 27bis2 richiesto dalla procura di Catanzaro. Prima dell’approvazione del decreto, il DGMC ha organizzato varie riunioni tra i direttori di tutte le USSM di Italia per capire a che cosa andavamo incontro. Io, per ora, direi stiamo a vedere. Di critiche se ne possono fare tante, ma credo anche che dobbiamo dialogare con la magistratura che ha individuato dei pezzi di anti-costituzionalità che sono stati fatti presenti. Infatti nell’approvazione della legge sono state cambiate delle cose. Dobbiamo vedere concretamente come si implementerà, tenendo anche presente che, come spesso accade in Italia, le procure agiranno un po’ a macchia di leopardo. E’ troppo presto per elaborare un commento, sebbene esiste da parte nostra della preoccupazione per l’aumento del carico di lavoro. Abbiamo anche dei dubbi rispetto a come percepirà il minore l’art. 27 bis, che rappresenta una delle novità più rilevanti che interviene nel caso in cui si rilevi l’irrilevanza del fatto commesso dal soggetto minore o giovane adulto.
Comunque, io sto studiando in maniera analitica la normativa e credo che sarà necessario monitorare la situazione ai fini di fare un bilancio. Ora è troppo presto.
Note
1: Con il D. L. n.92/2014, convertito in L. n.117/2014, è stata apportata la modifica dell’art. 24 del D. Lgs. n. 272/1989, innalzando da 21 a 25 anni la permanenza nel circuito penale interno per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni.
2: Art. 27 bis del Codice del Processo Penale Minorile: “Durante le indagini preliminari, il pubblico ministero, quando procede per reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, se i fatti non rivestono particolare gravità, può notificare al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale la proposta di definizione anticipata del procedimento, subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e nel rispetto della legislazione in materia di lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da due a otto mesi.
2. Il deposito del programma rieducativo, redatto in collaborazione anche con i servizi dell’amministrazione della giustizia, deve avvenire, da parte dell’indagato o del suo difensore, entro sessanta giorni dalla notifica della proposta del pubblico ministero. Ricevuto il programma, il pubblico ministero lo trasmette al giudice per le indagini preliminari, che fissa l’udienza in camera di consiglio per deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione.
3. Il giudice, sentiti l’imputato e l’esercente la responsabilità genitoriale, valutata la congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, con l’ordinanza di ammissione di cui al comma 2 ne stabilisce la durata e sospende il processo per la durata corrispondente. Durante tale periodo il corso della prescrizione è sospeso.
4. In caso di interruzione o mancata adesione al percorso, i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia informano il giudice, che fissa l’udienza in camera di consiglio e, sentite le parti, adotta i provvedimenti conseguenti.
5. Nel caso in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento e rieducazione o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 del codice di procedura penale. L’ingiustificata interruzione è valutata nel caso di istanza di sospensione del processo con messa alla prova.
5. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza in camera di consiglio nella quale, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo, dichiara con sentenza estinto il reato. In caso contrario, restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 del codice di procedura penale”. Articolo introdotto dall’art. 8, comma 1, lettera b) del D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159.