Cristina Maggia, da molti anni alla guida della Procura dei minori di Genova, è stata da pochi giorni nominata presidente del Tribunale dei minori di Brescia. Impegnata nell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e la Famiglia (Aimmf), di cui è vicepresidente, è uno di quei giudici minorili che lasciano il segno e che interpretano nella maniera più elevata il proprio ruolo. Ho avuto personalmente l’onore e il piacere di lavorare con lei al tavolo degli Stati Generali dell’esecuzione penale dedicato ai “Minori autori di reato”, magistralmente coordinato da Franco Della Casa. Il dialogo che si è aperto da allora tra Cristina Maggia e Antigone ci ha aiutato a comprendere più a fondo il ruolo del magistrato minorile e in generale il sistema della giustizia penale italiana rivolta ai minorenni. Cristina Maggia, a quasi trent’anni dalla riforma del processo penale minorile, come descriverebbe i punti di forza e i punti di debolezza della giustizia minorile italiana? Posso dire che, nonostante l’età ormai ampiamente adulta, il Dpr 448/88 resta una legge con una portata assolutamente rivoluzionaria, che provoca ancora nell’operatore appassionato un senso di enorme gratitudine per la profondità di pensiero, per lo sguardo aperto e lungimirante di quel legislatore. Bisogna però che gli operatori si ricordino sempre di applicarla e non la trascurino per ragioni legate al carico di lavoro. Mi riferisco in particolare al dettato dell’art. 1, ove si dice che le disposizioni del Codice di Procedura Penale per i minori devono essere applicate “in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne”; mi riferisco anche alla necessità che il giudice, ma anche il Pm specializzato, illustri all’imputato nel corso del procedimento il significato delle decisioni e le ragioni etico-sociali delle stesse. È importante rilevare come i principi legati alla necessità di informazione, comprensione e partecipazione del minore alle attività che lo riguardano, previste dalla Convenzione Onu del 1989, nel 1988 fossero già presenti nel nostro Codice minorile. Non credo ci sia molto da cambiare nella legge, che come sappiamo ha fatto da volano ad altre leggi assai civili applicate di recente al processo degli adulti. Ci aspettiamo ora un Ordinamento Penitenziario minorile che vada nella stessa direzione ‘ricostruttiva’ e ‘riparativa’. Guardando alla sua lunga esperienza nel sistema della giustizia minorile, come descriverebbe il suo lavoro? Qual è la maggiore specificità di un giudice minorile e cosa lo differenzia da un giudice degli adulti? La grande ricchezza del lavoro minorile è data dalla possibilità concreta di incidere in modo positivo sulla vita delle persone, di restituire speranza, foss’anche partendo dalla commissione di un reato. Molto spesso, paradossalmente, per un ragazzo deprivato che devia, il processo penale si trasforma in una opportunità di riscatto. Nessun giudice ordinario prova la grande soddisfazione di vedere la trasformazione di un soggetto di minore età, sottoposto al processo, che matura, evolve, a volte sboccia nell’arco di pochi mesi, solo perché oggetto delle attenzioni positive, pedagogiche e in definitiva ‘affettive’ dei molti adulti che si occupano di lui. Quello che dice che è bellissimo. E ci vogliono senz’altro un’attenzione e una competenza specifiche degli operatori della giustizia minorile per portare avanti tutto ciò. Quell’attenzione e quella competenza che costituiscono un filo conduttore anche delle indicazioni della recente Direttiva europea 800/2016. Tuttavia, se con una mano l’Italia, attraverso Caterina Chinnici, dava un contributo essenziale affinché la Direttiva vedesse la luce, con l’altra mano il Governo italiano proponeva una riforma che avrebbe accorpato le procure e i tribunali per minorenni a quelli degli adulti, del tutto in controtendenza rispetto ai principi ispirativi della nuova direttiva e facendo inevitabilmente perdere specificità di attenzione e competenze alla giustizia minorile. Lei cosa ne pensa? Abbiamo davvero scongiurato un pericolo con la mancata riforma? Il rischio di una riforma che contribuisse ad azzerare una mentalità specializzata e profondamente positiva che si è costruita in molti anni, grazie a maestri del calibro di Alfredo Carlo Moro, uno fra i tanti, è stato grande e io credo legato ad una sostanziale scarsa informazione su quanto accade negli uffici minorili, considerati da molti colleghi e da molti avvocati ‘uffici minori o di scarsa importanza’. Certamente – ferma restando la ineliminabile autonomia degli uffici giudiziari minorili – una buona riforma (non tanto nel penale ma nel civile) è necessaria e non tutto ciò che era stato pensato è da scartare tout court. Occorrono norme processuali che uniformino le diverse prassi dei Tribunali minorili, occorre ripensare al ruolo dei Giudici Onorari, occorre garantire multi-disciplinarietà ogni volta che ci si occupa di un minore, occorre un pensiero profondo e non superficiale per arrivare ad una riforma di grande momento. Soprattutto non bisogna fondare le necessarie scelte legislative future su pregiudizi legati a possibili cattive prassi di qualche ufficio giudiziario, generalizzandole senza conoscere tutta la realtà dei territori. Parliamo della messa alla prova. Si tratta sicuramente dell’istituto di maggior successo della nostra giustizia minorile. Tanto è vero che lo abbiamo esportato anche agli adulti. È un modello che funziona nella prassi, ma che tuttavia ha alcune criticità teoriche quali quelle dell’abbassamento delle garanzie derivanti dalla sospensione del processo. Lei cosa ne pensa? Personalmente provo una grande simpatia per l’istituto della messa alla prova e so che a Genova, ove lavoro, viene usata in modo massiccio, più che in altre parti di Italia. Ovviamente la messa alla prova per i minorenni, partendo dalla conoscenza approfondita della personalità del minore e dell’ambiente in cui vive, con i suoi punti di forza e di debolezza, ha come obiettivo l’evoluzione e la maturazione del ragazzo e si sostanzia in una acquisita capacità di riflessione sul male cagionato, attraverso attività riparative ed educative. Non è perciò paragonabile alla messa alla prova degli adulti per i quali non è consentito un approfondimento della personalità dell’imputato e che si estrinseca quindi solo in un obbligo di ‘fare’. La sua preziosità non è legata al fatto che sia scelta in luogo del carcere, ma che inneschi percorsi virtuosi nell’esistenza del ragazzo che in futuro gli consentiranno di evitare di ricadere nell’errore e spesso di arrivare ad una pacificazione con la vittima. Come funziona la difesa per i ragazzi che non possono pagarsi una difesa tecnica di fiducia? La difesa d’ufficio nel processo minorile funziona molto bene perché gli avvocati iscritti nelle liste dei difensori dei minorenni sono tenuti a frequentare corsi di specializzazione ad hoc. A volte è più competente un difensore di ufficio che un avvocato nominato di fiducia che non abbia esperienze minorili. Come è noto difendere un minore è cosa diversa dal difendere un adulto. Però non c’è dubbio che, come emerge da vari contributi del presente rapporto, vi sia un rischio discriminatorio nel sistema della giustizi minorile italiano nei confronti dei ragazzi stranieri, che spesso sono poi quelli che si avvalgono della difesa di ufficio. La discriminazione fra un minore italiano e uno straniero non è data dalla legge, ma è legata alle minori possibilità, per un ragazzo straniero che non abbia riferimenti familiari e una stabile dimora, di avvalersi dei percorsi deflattivi previsti. Se è senza fissa dimora sarà difficile costruire una messa alla prova che sia realizzabile. Ecco perché ci sono così tanti giovani stranieri in carcere: non perché sono i più cattivi ma perché sono i più soli. Lasciamo adesso gli aspetti procedurali ed entriamo all’interno degli Istituti di pena. Molti operatori si stanno lamentando del recente allargamento fino ai venticinquenni della possibilità di permanere in Ipm. Si dice che il contatto con i ragazzi più grandi penalizzerebbe più giovani. Ma d’altra parte non si può negare che tale allargamento sia una grande opportunità data a questi giovani, quella di usufruire per più tempo di un modello di detenzione più mite, più aperto, più attento alle esigenze del singolo. Lei cosa ne pensa? Non mi sento di condividere le lamentele legate alla presenza negli Ipm dei giovani adulti, che penso sia invece una opportunità. Intanto accade assai di rado che minori molto giovani siano in stato di detenzione, proprio in virtù della percorribilità nel processo penale minorile di molte strade alternative al carcere che deve rimanere quindi l’ultima spiaggia. Certamente però penso che le organizzazioni degli Ipm debbano tenere conto delle diversità esistenti fra gli ospiti, differenziando eventualmente i programmi per i più grandi da quelli per i più giovani. Credo che una maggiore presenza negli Ipm di figure educative e pedagogiche, capaci di prevenire lo scoppiare dei conflitti, capaci di mediare e leggere in modo non banale le situazioni, più che un rinforzo dell’aspetto repressivo, porterebbe a situazioni più pacifiche. In ogni caso, visto il costante prolungamento dell’adolescenza – per tanti ragazzi anche sino a 30 anni – fuori dalle carceri, lo stesso fenomeno credo si possa riscontrare all’interno, con la necessità di interrogarsi sui mutamenti generazionali dell’utenza e sulla capacità degli adulti di rinnovare e adattare al reale la propria capacità gestionale. Che ne pensa del modello disciplinare che dovrebbe venire impostato in un carcere minorile? Credo che per gli adulti che operano in un Ipm valgano gli stessi principi cui si deve ispirare un genitore nella crescita dei suoi figli: esempio, coerenza dei messaggi, chiarezza e semplicità delle regole, ascolto, empatia, fermezza senza accanimento punitivo, rispetto, con la costante ricerca di una strada che consenta al minore ribelle di riparare al suo errore senza sentirsi umiliato. La rabbia e il rancore nati dalla sopraffazione vendicativa non portano mai nulla di buono. Abbiamo partecipato insieme ai tavoli degli Stati Generali. Cosa pensa della riforma che a breve vedrà la luce? Cosa si aspetta da essa quale elemento più importante? Ho partecipato con grande entusiasmo e con senso di gratitudine verso chi ha avuto fiducia in me al tavolo ‘Minori autori di reato’ degli Stati Generali, che considero una esperienza straordinaria. Sinceramente non so cosa stia accadendo dei pensieri che erano stati prodotti da tante menti pensanti: mi auguro che nel percorrere la strada del pur necessario compromesso politico, tuttavia non si perdano del tutto di vista gli ideali che ci avevano ispirato. Mi auguro, quanto all’Ordinamento Penitenziario minorile, che l’idea di minore come soggetto vulnerabile da recuperare non venga snaturata da semplificazioni sterilmente punitive.
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