Perché una riforma
Fino alla recente entrata in vigore del decreto legislativo per l’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni (D. Lgs. n. 121/2018), in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 85, lettera p), della legge n. 103 del 23 giugno 2017, nel nostro Paese non vi era un autonomo e specifico ordinamento penitenziario minorile; la totale parificazione tra condannati adulti e minorenni si poneva, però, in netto contrasto con le esigenze di recupero e rieducazione del minore stabilite dagli artt. 27, comma 3 e 31, comma 2 Cost., come testimoniato dalla copiosa giurisprudenza costituzionale in materia, oltre che con gli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale[1] ed europeo[2] per una “giustizia a misura di minore”. Per questi motivi, la recente riforma aveva un duplice scopo: da un lato, riuscire finalmente ad adeguare le norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative e alle caratteristiche personologiche dei minori condannati, soprattutto alla luce del favor minoris cui si ispira il processo penale minorile, dall’altro, fornire una disciplina completa, organica e coerente dell’esecuzione penale minorile. In realtà, salvo alcune importanti innovazioni maggiormente rispondenti al dettato costituzionale e agli obblighi comunitari e internazionali, l’ordinamento penitenziario minorile, in buona sostanza, viene ancora a coincidere con l’ordinamento penitenziario degli adulti, cui non a caso si richiama l’art.1 del D. Lgs. n. 121/2018 per quanto non previsto dal medesimo decreto legislativo.
Tuttavia, è utile concentrare l’attenzione proprio su tali innovazioni, la prima delle quali è rappresentata senz’altro dall’individuazione degli obiettivi dell’esecuzione penale, ossia i percorsi di giustizia riparativa e di mediazione, la responsabilizzazione, l’educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l’inclusione sociale e la prevenzione della commissione di ulteriori reati, nonché degli strumenti per realizzare siffatte finalità, ossia il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attività di utilità sociale, culturali, sportive e di tempo libero. È chiara la volontà di esercitare la “potestà punitiva senza compromettere, ma anzi agevolando, la positiva evoluzione della personalità del minore” (cfr. Relazione illustrativa dello schema di Decreto Legislativo recante disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minori, pp.3-4).
Le nuove regole di vita interna negli Istituti Penali per Minorenni
Assai scarna risulta poi la disciplina in concreto della vita dei minori all’interno degli IPM. I criteri di assegnazione dei detenuti negli istituti penitenziari minorili ricalcano quelli già presenti nella L. n. 354/1975, in altre parole è assicurata la separazione dei minorenni dai giovani al di sotto dei venticinque anni (anche perché ora gli IPM ospitano soggetti fino al venticinquesimo anno d’età[3]) e degli imputati dai condannati, mentre le donne sono ospitate in istituti o sezioni apposite. Possono essere organizzate sezioni a custodia attenuata per ospitare detenuti che non presentano rilevanti profili di pericolosità o che sono prossimi alle dimissioni e ammessi allo svolgimento di attività all’esterno. L’organizzazione di tali strutture deve prevedere spazi di autonomia nella gestione della vita personale e comunitaria. Per quanto riguarda le camere di pernottamento, vi è unicamente un generico richiamo alla necessità di adattarle alle esigenze di vita individuale dei detenuti per evitare la spersonalizzazione e l’indicazione della capienza massima: possono, infatti, ospitare sino ad un massimo di quattro persone. La permanenza all’aria aperta (la c.d. ora d’aria) registra invece un aumento del tempo minimo garantito, ora pari a quattro ore, anziché alle due previste precedentemente; tuttavia, resta la possibilità che tale periodo possa essere ridotto per specifici motivi, che il testo della norma manca di individuare. Si stabilisce, poi, che la permanenza all’aria aperta avvenga in modo organizzato e con la presenza (necessaria) degli operatori penitenziari e dei volontari, in spazi attrezzati per lo svolgimento di attività fisica e ricreativa. I minori detenuti sono ammessi a frequentare i corsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale all’esterno dell’istituto, previa intesa con istituzioni, imprese, cooperative o associazioni quando si ritiene che la frequenza esterna faciliti il percorso educativo e contribuisca alla valorizzazione delle potenzialità individuali e all’acquisizione di competenze certificate e al recupero sociale. Essi sono ammessi anche al lavoro esterno: a tal fine, si applica l’art. 21 della legge sull’ordinamento penitenziario.
Si può affermare che il cuore della riforma sia costituito dal “progetto di intervento educativo”, da adottare entro tre mesi dall’inizio dell’esecuzione per consentire al minore di iniziare, in breve tempo, il proprio graduale percorso di recupero. Tale progetto è elaborato sulla base di due principi, già ampliamente utilizzati in materia di diritto penale minorile: la personalizzazione delle prescrizioni e la flessibilità esecutiva; esso deve tener conto delle attitudini e delle caratteristiche della personalità del minore condannato ed è ispirato, inoltre, al criterio della progressione poiché mira alla graduale restituzione di spazi di libertà in funzione dei progressi raggiunti nel percorso di recupero. Si è puntato il più possibile sul coinvolgimento del minore condannato nel progetto educativo, sia nella fase della predisposizione dell’intervento, attraverso il supporto psicologico e l’ascolto, sia nella fase della realizzazione dello stesso, attraverso l’illustrazione in un linguaggio comprensibile e il continuo aggiornamento sulla base del grado di adesione alle opportunità offerte, dell’evoluzione psico-fisica e del percorso di maturazione e di responsabilizzazione in atto. Il progetto di intervento educativo regola lo svolgimento della permanenza dei minori negli istituti penali: nello specifico, contiene indicazioni sulle modalità con cui coltivare le relazioni col mondo esterno e attuare la vita di gruppo e la cittadinanza responsabile, anche nel rispetto della diversità di genere, nonché sulle attività da svolgere all’interno degli istituti, in particolare sulle attività di studio e/o formazione professionale, di lavoro, nonché sulle attività di utilità sociale e ricreative (culturali, sportive e di tempo libero) finalizzate al recupero sociale e alla prevenzione del rischio di commissione di ulteriori reati.
I contatti con l’esterno
Particolare attenzione è stata riservata al mantenimento delle relazioni personali e socio-familiari educativamente e socialmente significative, necessarie al corretto sviluppo della sfera affettiva e, quindi, della crescita di ogni individuo. È stata, infatti, garantita l’applicazione del principio della territorialità dell’esecuzione, in virtù del quale la pena deve essere eseguita in istituti prossimi alla residenza o alla abituale dimora del detenuto e delle famiglie, salvo specifici motivi ostativi, anche dovuti a collegamenti con ambienti criminali, comunque preventivamente verificati dall’A.G., come peraltro nel caso del trasferimento. A ciò si aggiunge il fatto che il D. Lgs. n. 121/2018 detta per i minori ristretti nuove regole in materia di colloqui, ampliandone il numero e la durata ed allargando il novero delle figure autorizzate fino a ricomprendere i c.d. volontari, ed introduce, novità davvero significativa, l’istituto delle c.d. visite prolungate in un ambiente attrezzato per essere simile a quello domestico. Nello specifico, il detenuto (minore) ha diritto ad otto colloqui mensili della durata non inferiore a sessanta minuti e non superiore a novanta minuti, di cui almeno uno da svolgersi in un giorno festivo e prefestivo, con i congiunti e con le persone con cui sussiste un significativo legame affettivo. Può inoltre usufruire di un numero di conversazioni telefoniche, mediante dispositivi, anche mobili, in dotazione dell’istituto, non inferiore a due e non superiore a tre a settimana della durata massima di venti minuti ciascuna. Tali conversazioni vengono ascoltate e registrate mediante apposite apparecchiature solo se lo ha disposto l’A.G. o nel caso di reati di cui all’art. 4 bis della L. n.35471975. Si è, inoltre, stabilito che i detenuti privi di riferimenti socio-familiari, come i minori stranieri non accompagnati, non rimangano isolati e privi del necessario sostegno: quest’ultimi possono avere colloqui con volontari autorizzati ad operare negli istituti penali per minorenni e si vedono assicurato un costante supporto psicologico. In materia di visite prolungate il Legislatore si è sforzato di ricreare, in occasione dell’incontro del minore ristretto con i propri congiunti o comunque con le persone a lui care, un clima di serena familiarità e intimità domestica: ogni detenuto, soprattutto se non gode di permessi premio, ha diritto a quattro visite prolungate mensili della durata compresa tra le quattro e le sei ore, con uno o più congiunti o persone con cui sussiste un significativo legame affettivo, da svolgersi in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico. È il direttore a verificare la sussistenza di eventuali divieti dell’A.G., nonché l’esistenza del legame affettivo, acquisendo le informazioni necessarie tramite l’ufficio del servizio sociale per i minorenni e dei servizi socio-sanitari territoriali.
Le regole interne e il sistema disciplinare
Il minore (detenuto) resta comunque tenuto a rispettare il regolamento che disciplina la vita dell’istituto: tale regolamento deve essere messo a sua disposizione al momento dell’ingresso in un linguaggio comprensibile, affinché egli ne comprenda a pieno il significato e le implicazioni. Inoltre, l’osservanza di alcune specifiche regole di comportamento all’interno dell’istituto viene valutata ai fini della verifica dell’adesione ai programmi di intervento educativo con conseguente progressione e concessione di benefici: tali regole riguardano da un lato la cura della propria persona e della propria camera di pernottamento, dall’altro la partecipazione alle attività organizzate e alla vita carceraria. In particolare: a) osservanza degli orari, cura dell’igiene personale, pulizia e ordine della camera di pernottamento; b) partecipazione alle attività di istruzione, formazione professionale, istruzione e formazione professionale, lavoro culturali e sportive; la permanenza nelle camere di pernottamento nel corso dello svolgimento di tali attività è consentita solo in casi eccezionali, o per motivi di salute accertati dall’area sanitaria; c) consumazione dei pasti nelle aree specificamente dedicate e non all’interno delle camere di pernottamento, salvo specifica indicazione in tal senso da parte dell’area sanitaria; d) relazioni con gli operatori e con gli altri detenuti improntate al reciproco rispetto. Per quanto riguarda le infrazioni disciplinari rimane applicabile la disciplina prevista per gli adulti: nello specifico, l’art. 77 DPR n.230/2000. Possono essere applicate le seguenti sanzioni: a) rimprovero verbale e scritto del direttore dell’istituto; b) attività dirette a rimediare al danno cagionato; c) esclusione dalle attività ricreative per non più di dieci giorni; d) esclusione dalle attività in comune per non più di dieci giorni. Solo la prima sanzione menzionata è deliberata dal Direttore dell’istituto, mentre le altre tre sono decise dal consiglio di disciplina, ora composto, a seguito dell’esclusione del personale medico, dal direttore dell’istituto o, in caso di legittimo impedimento, dall’impiegato più alto in grado con funzioni di presidente, da uno dei magistrati onorari addetti al tribunale per i minorenni[4] designato dal presidente, e da un educatore.
L’uscita
dal carcere
Pure
nell’ambito della dimissione sono state finalmente previste regole specifiche
per i minori: infatti, viene dedicata una maggiore
cura a questa delicata fase di passaggio, considerata giustamente
fondamentale per il recupero del minore; ogni sforzo delle istituzioni è teso a
non vanificare i risultati raggiunti e soprattutto a non lasciare il minore di
nuovo solo e senza prospettive, anche in considerazione del fatto che potrebbe
essere privo di una famiglia capace di sostenerlo o di legami familiari sul
territorio nazionale. La dimissione è quindi preparata e curata nei sei mesi precedenti dall’ufficio di
servizio sociale per i minorenni, in collaborazione con l’area trattamentale.
Anche in questo caso la previsione di una determinata tempistica è quanto mai
apprezzabile: sei mesi sono un periodo di tempo congruo e sufficiente per
mettere in campo le risorse e le energie istituzionali necessarie alla
continuazione del percorso educativo intrapreso. Uno dei principali obiettivi
della dimissione è, tanto per i detenuti cui non siano state applicate misure
penali di comunità, quanto per quelli cui invece siano state applicate, la continuità dell’intervento educativo e
dell’inserimento sociale: nel primo caso vengono elaborati programmi
educativi, di formazione professionale, di lavoro e di sostegno all’esterno;
nel secondo sono curati i contatti con i familiari di riferimento e con i
servizi socio-sanitari territoriali che prendono in carico il minorenne per la
prosecuzione dell’attività di assistenza e di sostegno. Un altro importante
obiettivo è la ripresa dei contatti col
proprio nucleo familiare o, in caso di sua inadeguatezza o addirittura
assenza, la presa in carico da parte dei servizi sociali per i minorenni e dei
servizi socio-sanitari territoriali chiamati a individuare le figure educative
o le comunità di riferimento, con il coinvolgimento delle organizzazioni di
volontariato.
[1]In ambito internazionale si rammentano: la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991; le Regole minime sull’Amministrazione della Giustizia Minorile (c.d. Regole di Pechino) adottate con risoluzione ONU 40/33 del 1985; le Linee guida delle Nazioni Unite sulla Prevenzione della delinquenza minorile (c.d. Regole di Riyadh) adottate il 14.12.1990; le Regole per la protezione dei minori privati della libertà (c.d. Regole dell’Avana) adottate il 14.12.1990.
[2] In ambito europeo si ricordano le seguenti Raccomandazioni del Consiglio d’Europa: la Raccomandazione (2006) 2 (c.d. “Regole penitenziarie europee”) e la Raccomandazione (2008) 11 (“Regole europee per i minori sottoposti a sanzioni e misure restrittive della libertà personale”).
[3] Con il D. L. n.92/2014, convertito in L. n.117/2014, è stata apportata la modifica dell’art. 24 del D. Lgs. n. 272/1989, innalzando da 21 a 25 anni la permanenza nel circuito penale interno per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni.
[4] In merito cfr. artt. 2 e 5 R.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404; art. 4 Legge 27.12.1956 n. 1441; Circolare del Consiglio Superiore della Magistratura sui “Criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari minorili”.
Febbraio 2020