K. nasceva in Italia, ad Aversa, quasi 21 anni fa. Ha frequentato le scuole in uno dei quartieri popolari di Napoli, ha perso entrambi i genitori appena entrato nell’adolescenza; padre serbo, madre gitana, entrambi irregolarmente soggiornanti in Italia. Ha vissuto in Italia tutta la sua vita, fatta anche di gioie, ma soprattutto di enormi dolori a causa delle perdite subite. Dopo la scomparsa dei genitori, non avendo altri parenti, circa 6 anni fa K. cominciava il suo percorso comunitario; viene inizialmente inserito in una comunità mista attraverso il circuito dell’accoglienza, per poi finire coinvolto nel circuito penale ed essere trasferito presso altre comunità. Così, da quando ha 15 anni, ha vissuto in diverse comunità per minori lontane tra loro e a decine di km dal luogo in cui è cresciuto.
K. non è italiano. Lo dice la L. N° 91 del 1992 che all’art. 4 comma 2 lo definisce “lo straniero nato in Italia”. K. non ha i documenti, non è “permessante”. K. è apolide e quando a 21 anni lascerà la comunità che lo ospita, dovrà ancora dimostrare di esistere1.

J. è cinese di seconda generazione, trasferitosi con i genitori in un paesino del Nord Italia quando era molto piccolo. A 15 anni ha commesso un reato gravissimo per il quale un suo coetaneo ha perso la vita. J. parla due lingue, ha frequentato scuole italiane; ora ha 19 anni, ma dovrà scontare i prossimi 10 anni in carcere. La sua famiglia vive ancora in Veneto mentre J., a seguito delle rivolte scoppiate presso l’Istituto Penale per Minorenni (IPM) di Treviso – che lo hanno reso inagibile dal 13.04.2022 al 24.07.23 – nonostante lui non vi abbia preso parte, è stato trasferito in un carcere in Campania. J. oggi ha a disposizione due videochiamate alla settimana della durata di 40 minuti ciascuna per mantenere i contatti con la propria famiglia d’origine.

Nonostante queste due storie di vita si declinino in modi diversi, i protagonisti condividono la condizione (o “il marchio”) di straniero e la recisione del legame con la comunità di origine e/o di appartenenza, in violazione del principio di territorialità della pena.

L’art. 42 dell’ Ordinamento penitenziario (L.354/1975) recita che nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie. Nel caso delle persone minorenni, i programmi di intervento educativo (P.E.I.) impongono, tra l’altro, un dialogo costante con le famiglie affinché queste vengano coinvolte nelle scelte e nelle strategie educative dei propri figli. Ciò in ossequio al D. Lgs. 121/2018 che reca la “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103” che all’art. 22 rubricato “Territorialità dell’esecuzione” precisa che “salvo specifici motivi ostativi, anche dovuti a collegamenti con ambienti criminali, la pena deve essere eseguita in istituti prossimi alla residenza o alla abituale dimora del detenuto e delle famiglie, in modo da mantenere le relazioni personali e socio-familiari educativamente e socialmente significative”.
Il territorio, infatti, non è solo uno spazio geografico, ma anche un luogo di ricordi, di legami, di relazioni nel quale il soggetto, specie se minorenne, vede evolvere la propria identità; un luogo che può rappresentare radici storiche di appartenenza o anche un’ancora di salvezza per chi, nel nostro Paese, si è ritrovato da solo.

Dunque, il principio di territorialità della pena risponde a molteplici obiettivi e ad altrettante esigenze, tra cui: mantenere i soggetti nell’ambiente di appartenenza nel tentativo di ripristinare il legame con il contesto sociale che l’atto deviante può aver reciso; consentire e favorire, nell’ambito del proprio diritto alla difesa costituzionalmente garantito, i colloqui con il proprio difensore e/o curatore speciale; mantenere i soggetti nell’ambiente di appartenenza e a cui sono culturalmente e/o affettivamente legati e ancora, la garanzia di avere vicini i propri cari, nella speranza che il reinserimento sociale auspicato per il soggetto minorenne o giovane adulto contribuisca alla crescita della comunità medesima.

Nel silenzio normativo, cosa accade nella prassi ai minori di origine straniera non accompagnati o ai soggetti minori di seconda generazione? Come cambia la loro situazione nel caso in cui siano apolidi? Come vengono influenzati i processi di vita dei soggetti extracomunitari dal marchio di “irregolari”? Questo dato in che modo incide sui trasferimenti tra IPM?

Recentemente l’Istat ha diffuso alcuni indicatori sulle condizioni di vita dei minori di 16 anni, elaborati in base all’ Indagine annuale 2022 su Reddito e condizioni di vita e ad uno specifico approfondimento condotto nel 2021 nell’ambito della stessa Indagine. Dallo studio svolto emerge come il 53,7% dei soggetti con età inferiore a 16 anni (quasi 1 milione 257 mila tra bambini e ragazzi) che si trova in condizione di esclusione sociale o rischio povertà è di nazionalità italiana e vive nel Mezzogiorno, mentre il 17,4% (più di 408 mila) è italiano e vive nel Nord, dove vive anche l’11,7% dei minori con cittadinanza straniera (più di 273 mila minori)2.
Nel 2021 i minori senza tetto o senza fissa dimora in Italia erano 12793 (quasi il 13,3% del numero totale delle persone senza fissa dimora); di questi il 38% erano stranieri o apolidi3.

Per quanto riguarda le presenze presso gli IPM, analizzando i dati acquisiti dal Sistema Informativo dei Servizi Minorili (SISM), si evince che nel 2022 la presenza media giornaliera di minori e giovani adulti stranieri era di 184, contro 198 italiani; nel 2021, si registravano, invece, 138 stranieri e 182 italiani4. Circa i detenuti presenti in IPM alla data del 30 novembre 2023, su un totale di 502 presenze, in 267 casi si tratta di ragazzi stranieri; di questi, 179 hanno un’età compresa tra i 14 e i 17 anni5.

Rispetto alle presenze di minori e giovani adulti provenienti dal circuito penale ed inseriti in comunità, la presenza media giornaliera nel 2022 si stima intorno ai 263 soggetti (a fronte di 621 presenze italiane). Il numero più elevato di presenze di stranieri in comunità tra il 2007 ed il 2022 si registra nell’anno 2017; 339 stranieri e 597 italiani. Ad ogni modo, analizzando il trend complessivo degli ospiti delle comunità provenienti dal circuito penale negli ultimi 15 anni, si nota un aumento delle presenze, più pronunciato per quanto riguarda i ragazzi italiani6.
I collocamenti in comunità di minori o giovani adulti stranieri avvenuti complessivamente nel corso del 2023 fino alla data del 30 novembre sono stati di 574, su un totale di 1481 collocamenti7.

All’interno di questo quadro riportiamo anche che l’Osservatorio Minori di Antigone negli ultimi anni ha riscontrato un aumento dei trasferimenti da IPM del Nord Italia a IPM del Sud del Paese, che avrebbe visto coinvolti per la maggior parte ragazzi stranieri, in ragione di un supposto legame meno radicato con il territorio8.

La condizione di solitudine del ragazzo straniero sul territorio italiano è spesso, però, una condizione data per scontata, che non sempre coincide con quella di fatto. Il fatto che il ragazzo non abbia legami con il territorio, e quindi possa essere collocato in istituti e strutture lontane dal territorio di riferimento, potrebbe dipendere dall’ “irregolarità” dei membri della sua famiglia, oppure, nel caso dei minori stranieri non accompagnati, dal fatto che prima di vedersi coinvolti in procedimenti penali abbiano risieduto presso comunità di accoglienza, le quali, spesso, purtroppo, non vengono considerate come luoghi che permettono il radicamento nel territorio del ragazzo. A tale proposito, verrebbe quindi da chiedersi se possa ricomprendersi nel concetto di “territorialità” anche la rete che ruota attorno a questi minori, fatta di caregivers e famiglie non canonicamente intese. Se si optasse per accogliere il principio di territorialità in questa sua accezione più ampia, verrebbe a prodursi un ulteriore rischio di stigmatizzazione per coloro che, già privi di legami affettivi familiari sul territorio nazionale, vengono costretti ad allontanarsi anche dalla rete accogliente – composta da insegnanti, operatori dei polifunzionali, educatori di comunità – che sino ad allora aveva rappresentato per loro un importante punto di riferimento.

Da questa riflessione emerge come i minori stranieri risultino in una condizione di svantaggio per il solo fatto di essere stranieri. Viene da sé che il problema legato al mancato rispetto del principio di territorialità è molto spesso inerente alla condizione di apolidia o, comunque, di mancato possesso della cittadinanza italiana.
In questo già complesso scenario si innesta poi la negazione del cd. Ius Soli – diritto di cittadinanza incondizionato per tutte le persone nate in Italia – che potrebbe contribuire a ridurre i casi di allontanamento coatto dei soggetti minori stranieri all’interno dei circuiti dell’esecuzione penale. Minori i cui interessi e diritti dovrebbero essere riconosciuti preminenti ed inviolabili e che, invece, restano in attesa del mero riconoscimento della loro esistenza prima ancora di vedersi riconosciuto il diritto di esecuzione della pena in un luogo a loro caro, conosciuto o comunque facilmente raggiungibile dalle figure di riferimento, in ossequio al principio di territorialità.

Note
1: Al 1° gennaio 2020 i minori di origine straniera (italiani e stranieri) erano circa 1,3 milioni. Tra questi il 21,5% ha la cittadinanza italiana, tra gli italiani minorenni di origine straniera prevalgono i nati in Italia che costituiscono l’81,3% del totale (Strozza et al. 2021 citato in Fondazione ISMU, 2022, p. 71, https://migrant-integration.ec.europa.eu/system/files/2022-03/ISMU%20report%202021.pdf).
2: Le percentuali restanti sono così suddivise: il 10,1% è rappresentato da minori italiani che vivono nel Centro Italia; il 4,1% da minori stranieri che vivono nel Centro Italia; il 3% da minori stranieri che vivono nel Mezzogiorno https://www.istat.it/it/files//2023/12/Deprivazione_minori_6_12.pdf pp. 2-3.
3: Cfr. https://www.conibambini.org/osservatorio/quasi-13mila-i-minorenni-senza-casa-in-italia
4: Cfr. Tabella 30, p. 29, https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Analisi_Servizi_minorili_30.11.2023_G.pdf
5: Cfr. Tabella 22, p. 22, ivi.
6: Cfr. Tabella 19 e grafico 6, p. 20, ivi.
7: Cfr. Tabella 14, p. 16, ivi.
8: Marietti S., (2022), Il carcere minorile tra superamento e riforma, MINORIGIUSTIZIA, vol. 4, pp. 26-34.