“Il campo veramente proprio della legislazione penale è e resta pur sempre, anche secondo il nuovo codice, la difesa repressiva contro la delinquenza (…). Non è vero infatti che l’individuo sia il fine di tutta la vita e di tutta l’attività sociale. È vero, al contrario, che la società, considerata come l’organismo riassuntivo della serie indefinita delle generazioni, e lo Stato che ne è l’organizzazione giuridica, hanno fini propri e per questi vivono; mentre l’individuo non è che un elemento infinitesimale e transeunte dell’organismo sociale, ai cui fini deve subordinare la propria azione e la propria esistenza. In questa più giusta concezione della società e dello Stato appare evidente l’errore dell’affermazione kantiana, che l’individuo, essendo fine, non può essere assunto al valore di mezzo. No. L’individuo è appunto mezzo dei fini sociali, che oltrepassano di molto la sua vita”. Questo brano è un estratto della Relazione del Guardasigilli Alfredo Rocco al Codice Penale del 1930. Un Codice, intriso di cultura illiberale, ancora in vigore nonostante siano trascorsi 92 anni dalla sua approvazione. Di mezzo c’è stata la follia nazi-fascista, l’uso di quel Codice per reprimere il dissenso politico, la resistenza, la riconquistata libertà, una straordinaria Costituzione che ha dato vita a una cesura profonda con il passato. C’è stato anche il nascere nel 1948 del nuovo diritto internazionale dei diritti umani, nonché il riconoscimento su scala globale dell’interesse superiore del minore.
Ebbene, se sorprende che nel 2022 sia il Codice Rocco, con la sua filosofia totalitaria, a trovare applicazione nei giudizi penali che riguardano gli adulti, ancor più stride quando la persona del cui reato si deve prendere atto è un bambino/a, un adolescente, un ragazzo/a, un/una minorenne. Il Codice Rocco è permeato di un’idea di pena e di società che nulla ha a che fare con qualsivoglia riflessione pedagogica e con la centralità dell’essere umano, tanto più se questo è un soggetto in evoluzione e in corso di maturazione psico-fisica. Possiamo, dunque, applicare a un/una diciasettenne, a un/una sedicenne, a un/una quindicenne o addirittura a un/una quattordicenne, norme che presuppongono che lui/lei sia un “elemento infinitesimale e transeunte dell’organismo sociale, ai cui fini deve subordinare la propria azione e la propria esistenza”?
Queste sono le ragioni politico-culturali, oltre che giuridiche, per sottrarre i minori all’applicazione del codice penale Rocco. Il ragionamento è ancora più articolato. Le nuove conquiste sul terreno pedagogico ed educativo ci consiglierebbero di sottrarre i minori a qualunque codice penale per adulti, ovviamente a maggior ragione a quello attualmente in vigore perché privo di una qualsiasi attenzione ai bisogni della persona accusata di un reato, tanto più se ancora in fase di crescita.
Perché, dunque, un codice penale per i minori? Perché il sistema dei reati e delle pene per gli adulti, a maggior ragione vigente il codice Rocco, non soddisfa minimamente il principio, sancito nella Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989, del superiore interesse del minore. L’articolo 27 della Costituzione assegna alla pena una funzione rieducativa e pone limiti all’esercizio del potere di punire allo scopo di evitare trattamenti contrari al senso di umanità. Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale costituzionale significa che le pene devono essere dirette a favorire la reintegrazione sociale della persona condannata la cui dignità umana non deve essere mai messa in discussione. Questi principi, per essere adattati a ragazzi e ragazze, richiedono una diversa elencazione di reati e un ben più vario pluralismo sanzionatorio. Un furto di un ragazzino in un supermercato non può essere paragonato a quello in appartamento di una persona adulta. Il primo potrebbe essere depenalizzato, trattato civilmente, o affidandosi alla giustizia riparativa. Ben potrebbe essere trattato fuori dal diritto penale. Che senso ha punire un minore per il delitto di oltraggio? Un minore va educato fuori dalle galere. Il rispetto degli altri non si insegna chiudendo un ragazzo dietro le sbarre. Così lo si incattivisce. Un ragazzo non va punito per
oltraggio, ma educato. La sottrazione del minore alla giustizia penale risponde pertanto alla necessità di educare, anziché punire.
Là dove, invece, non vi è alternativa al diritto penale – si pensi ai delitti contro la persona (omicidi, violenze sessuali, lesioni gravi) – allora la punizione non può essere la stessa prevista per un adulto. Non si tratta solo, come avviene oggi, di prevedere una durata inferiore alla pena della prigionia, ma di immaginarsi una diversificazione delle pene stesse, così lasciando al carcere una sempre maggiore residualità. Ovviamente a ciò deve accompagnarsi una legislazione penitenziaria che sia pensata solo per i minori e non come oggi parzialmente sovrapposta a quella degli adulti, che è evidentemente inadatta ad affrontare la complessità della condizione adolescenziale. Fortunatamente dalla fine degli anni ’80 abbiamo regole processuali ad hoc per i minori. Ora il sistema va completato dando vita a un sistema autenticamente e completamente dedicato ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze. Potremmo essere tra i primi in Europa. Iniziamo a parlarne. È una bella sfida culturale, prima ancora che giuridica.